Il cinema di Pietro Germi

a cura di Luca Malavasi ed Emiliano Morreale

IL CINEMA DI PIETRO GERMI

a cura di Luca Malavasi ed Emiliano Morreale

Coedizione Centro Sperimentale di Cinematografia (Cineteca Nazionale) / Edizioni Sabinae

Pag. 304, illustrato

Collana “Grande Cinema” n. 1

Isbn 978 88 98623389

Euro 25,00

Questo volume raccoglie gli atti di due convegni che nel 2014 hanno reso omaggio a Pietro Germi in occasione del centenario della sua nascita e che si sono svolti al Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale di Roma e all’Università degli Studi di Genova. I luoghi non sono casuali: Genova è la città natale del regista, Roma quella in cui presto si trasferisce per seguire i corsi al Centro Sperimentale e in cui si svolgerà gran parte della sua attività di regista, attore e sceneggiatore cinematografico. A rileggere per l’occasione l’opera di Germi in alcuni snodi fondamentali del cinema italiano del dopoguerra sono studiosi di almeno tre generazioni diverse, che senza trascurare le poetiche e lo stile dell’autore affrontano con le metodologie più aggiornate la sua relazione con il contesto dell’epoca. Film ormai classici come In nome della Legge (1949), Il ferroviere (1956), Un maledetto imbroglio (1959), Divorzio all’italiana (1961), Sedotta e abbandonata (1964), Signore & Signori (1966) assumono così un nuovo spessore, riletti in prospettive inedite, e Germi si rivela un regista che ha ancora molte cose da dirci sul nostro cinema, sul nostro passato e sul nostro presente.

Scritti di Francesca Angelucci, Adriano Aprà, David Bruni, Orio Caldiron, Marina Cipriani, Mariapia Comand, Elena Dagrada, Raffaele De Berti, Roberto De Gaetano, Lorenzo Donghi, Ruggero Eugeni, Federico Giordano, Luca Malavasi, Anton Giulio Mancino, Giacomo Manzoli, Andrea Minuz, Emiliano Morreale, Fabrizio Natalini, Paolo Noto, Maria Orsini, Stefania Parigi, Alberto Pezzotta, Mariapaola Pierini, Francesco Pitassio, Gabriele Rigola, Marco Vanelli, Aldo Viganò, Federico Vitella, Vito Zagarrio.

Dalle introduzioni dei Curatori:

Se vent’anni fa, nella sua fondamentale monografia Tutto il cinema di Pietro Germi, Mario Sesti poteva presentare un autore complessivamente sottovalutato dalla critica rendendogli dunque anche giustizia, oggi il discorso appare diverso. Fatta salva l’importanza riconosciuta, allora come oggi, di film come Divorzio all’italiana e forse Sedotta e abbandonata, almeno un paio di lavori centrali (Signore & Signori e Un maledetto imbroglio) sono diventati patrimonio comune della critica e del pubblico colto, mentre, a ripensarci, il tempo rende inevitabilmente meno spendibili titoli del dopoguerra come In nome della Legge o Il cammino della speranza. Insomma, in una situazione complessiva in cui la storia del cinema italiano è sempre più oscura ai più, in fondo Germi non sembra essere oggi così trascurato: rispetto a nomi anche grandi come Zurlini o Lattuada, Freda o Castellani, il suo nome dice ancora qualcosa a molti. La rilettura dell’opera di Germi giunge dunque a un passo ulteriore. Dato per scontato il suo posto nella storia del cinema, l’approccio di questo volume (e dei due convegni che ne sono alla base) è stato quello di affrontare non solo la poetica dell’autore o il funzionamento dei singoli testi filmici, ma soprattutto la sua relazione in termini culturali con il contesto dell’epoca. Senza trascurare lo stile e le poetiche, si è dunque provato a rileggere la sua opera anche come “studio di caso”, utilizzando le metodologie più aggiornate degli studi di cinema, per arricchire la conoscenza della sua opera attraverso fonti e documenti nuovi o riconsiderati. Tornare a Germi è stata l’occasione per ripensare alcuni snodi fondamentali del cinema italiano del dopoguerra. Germi si prestava indubbiamente più di altri a questo approccio. Più di altri, infatti, ha tenuto presente i modelli dei generi americani, dal western (In nome della Legge, Il brigante di Tacca del Lupo) al male weepie (Il ferroviere, L’uomo di paglia), al giallo e al noir (Il testimone, La città si difende, Un maledetto imbroglio), offrendone delle rare e originali versioni italiane. E d’altro canto è fondamentale il suo apporto a filoni più strettamente autoctoni, dal mafia movie alla commedia di costume. Nel prisma di Germi si possono vedere rifratti i luoghi canonici della storiografia del cinema, a cominciare dal neorealismo. E il regista si è trovato in una posizione privilegiata (o meglio, agonistica) a confronto con le istituzioni sociali e culturali: i suoi film sono stati oggetto di dibattiti critici accesissimi, spesso trascoloranti dal cinema alla politica; di interventi censori; di dibattiti in parlamento e in tribunale. Dal punto di vista produttivo, lo si è visto alle prese con il “neorealismo Lux” e con Cristaldi, o con case cattoliche come la Orbis Film (e il suo rapporto col cattolicesimo italiano non è meno interessante di quello con la sinistra, o col fascismo). Il suo metodo di lavoro, secondo le testimonianze dei collaboratori, è esemplare di uno stile all’americana, dalla fase del copione a quella della messa in scena. Senza trascurare, su questo versante, il lavoro con gli attori, arricchito dall’essere lui stesso anche attore, in film propri e altrui. A tornarci su oggi, i temi di questo regista e uomo vecchio stampo appaiono tutt’altro che vetusti, e ad affascinare sono a volte proprio le sue contraddizioni, man mano che si trova a evocare, in maniera sempre più insofferente e faticosa, i grandi contrasti della propria epoca. Nei suoi film, certo, si sono toccati gli argomenti decisivi del dopoguerra, dalla mafia al divorzio, alla questione meridionale. Ma ad osservarli nel complesso, essi costituiscono anche uno straordinario racconto, sempre meno controllato e armonioso, ma comunque visceralmente sincero, dei rapporti tra i sessi, e in particolare dei paradossi e dei vicoli ciechi di una sempre meno granitica virilità (o, come si dice ora con brutto calco dall’inglese, mascolinità). Germi, curiosamente, continua ad essere uno dei registi italiani più amati non solo dalla critica e dal pubblico, ma anche da chi il cinema lo fa. Ad esempio, quasi tutti i registi e attori siciliani (da Tornatore a Maresco, a Ficarra e Picone) lo vedono come un modello e riconoscono, nell’amore-odio di Germi per l’isola, un contributo spiazzante e fondativo. Lo stesso sostiene Martin Scorsese. E, meno prevedibilmente, un regista come Wes Anderson più volte ha manifestato il proprio entusiasmo per l’autore genovese: Signore & Signori – chi l’avrebbe detto? – è uno dei film preferiti del regista dei Tennenbaum. La forza del cinema di Germi si basa non solo sulla sua capacità di interagire con il proprio tempo in maniera spesso insofferente o accanita, ma su un equilibrio solidissimo tra scrittura e messa in scena; insomma su uno stile in senso ampio. Grazie ai contributi di una trentina di studiosi, questo libro crediamo aiuti a capire meglio Germi e mostri come il nostro cinema possa ancora venire studiato rivelando sorprese e stimoli inaspettati.

Emiliano Morreale

 

Questo volume raccoglie gli atti di due convegni “gemelli” svoltisi all’Università degli Studi di Genova e al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma nel 2014, in occasione del centenario della nascita di Pietro Germi, rispettivamente a cura di Luca Malavasi ed Emiliano Morreale. Le due sedi non sono casuali: a Genova Germi è nato e cresciuto, a Roma si è svolta molta della sua attività, a cominciare proprio dagli studi presso il Centro Sperimentale alla fine degli anni ’30. Il 2 e 3 dicembre a Roma hanno parlato Giacomo Manzoli, Roberto De Gaetano, Stefania Parigi, Ruggero Eugeni, Anton Giulio Mancino, Elena Dagrada, Vito Zagarrio, Paolo Noto, Federico Giordano, Adriano Aprà, Federico Vitella, David Bruni, Alberto Pezzotta, Andrea Minuz, Emiliano Morreale, e ha avuto luogo una tavola rotonda con Marialinda Germi (figlia del regista), l’aiuto regista Francesco Massaro e Mario Sesti. Nella stessa occasione, il personale del Centro Sperimentale addetto agli archivi ha illustrato i materiali ivi presenti: Maria Orsini per la Biblioteca “Luigi Chiarini”, Marina Cipriani e Francesca Angelucci per gli archivi della Cineteca Nazionale, Maria Cristina Di Nunzio per l’Archivio storico della Scuola Nazionale di Cinema. L’11 dicembre, a Genova, sono intervenuti Francesco Pitassio, Federica Villa, Deborah Toschi, Lorenzo Donghi, Aldo Viganò, Raffaele De Berti, Mariapia Comand, Gabriele Rigola, Mariapaola Pierini, Marco Vanelli, Luca Malavasi. La compresenza di studiosi appartenenti ad almeno tre generazioni diverse – e quindi diversamente armati di sguardi, memorie cinefile e metodologie d’analisi – basterebbe, da sola, ad attestare un interesse nei confronti del cinema di Germi che il convegno, da un certo punto di vista, si è limitato ad intercettare, o a rivelare, offrendo l’occasione non tanto di un “recupero” unilaterale quanto di un confronto interno alla comunità degli studiosi. Non si è trattato soltanto di tornare a guardare e studiare la sua opera, e preferibilmente i suoi film meno ricordati, o messi in ombra dai successi maggiori, come rivelano, per esempio, i saggi di David Bruni, Mariapia Comand e Gabriele Rigola; si è trattato anche di mettere in gioco nuovi approcci analitici nel confronto con la “tradizione”, muovendo magari – come attestano le premesse di molti interventi – da una riconsiderazione e un superamento della ricezione critica, la quale, in non pochi casi, ha segnato con troppa forza il destino di singoli film o “blocchi” di film, sia all’interno della filmografia “d’autore” di Germi, sia nel quadro più ampio dei rapporti tra questa e le dinamiche della storia del cinema italiano, che sono poi quelle, cruciali, che vanno dal neorealismo alla commedia all’italiana. Uno degli sforzi comuni alla maggior parte degli interventi va proprio in questa direzione: “staccare” il cinema di Germi – o alcuni film in particolare, certi suoi temi e certa sua iconografia – dallo sfondo di una tradizione analitica ormai sedimentata o anche, più semplicemente, da un’“atmosfera” interpretativa tramandata in modo irriflesso, per riconsiderare, al tempo stesso, i lati in ombra e le evidenze. È quanto accade, per esempio, nel saggio di Giacomo Manzoli, che (ri)parte da un dato di fatto per certi versi incontestabile, ma tutto da ripensare, «la popolarità di Pietro Germi, il suo essere popolare», o in quello di Stefania Parigi, la quale riattraversa l’opera dell’autore indagando la “mascolinità” dei suoi interpreti (mutevole, sensibile, modernissima), mettendo subito a tacere un certo schematismo interpretativo che tende a rimandare questi ultimi al «temperamento rigido e allo stesso tempo sentimentale, legato a canoni etici e romanzeschi di impronta quasi ottocentesca» del loro autore. Dopo interventi di respiro più generale (radunati nella sezione Temi) e approfondimenti su singoli film (Tappe), il volume offre due sezioni “monografiche”, una dedicata a rileggere uno degli aspetti più affascinanti ma anche controversi del cinema di Germi, vale a dire l’incontro tra il paesaggio naturale e antropologico della Sicilia e la retorica e l’iconografia del genere western (Fuochi/1. Tra la Sicilia e il West), l’altra incentrata su alcuni dei principali “corpi” (ma, verrebbe da dire, su una più generale “matericità”) che attraversano, e occupano, l’opera del regista, a partire da quello di Germi stesso, attore di molti film, propri e altrui (Fuochi/2. Corpi di uomini, di donne, di città). E quanto scrive Mariapola Pierini in proposito – «un’attorialità stratificata, inedita nel panorama italiano, in cui riverberano le tante e per certi versi opposte tensioni con cui Germi è entrato in contatto», sempre sospesa tra underplaying (sintesi, contenimento) e “tattilità” (movimento ininterrotto, evidenza) – sembra parlare, più in generale, di “tutto” Germi, dei complessi incastri e delle fertili stratificazioni che danno corpo alla sua opera.

Luca Malavasi

 

Emiliano Morreale laureato alla Normale di Pisa, è Conservatore della Cineteca Nazionale ed insegna all’Università di Torino. Scrive su «La Repubblica», «Il Sole-24 ore» e i «Cahiers du cinéma». Ha lavorato a programmi televisivi e radiofonici per la Rai, e ha fatto parte delle commissioni di selezione dei festival di Torino e di Venezia. Tra i suoi libri: Mario Soldati (2006), L’invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni (2009), Cinema d’autore anni sessanta (2011), Così piangevano. Il cinema mélo nell’Italia degli anni ’50 (2011).

 

Luca Malavasi è Ricercatore a tempo determinato e afferisce al Dipartimento di Italianistica, Romanistica, Antichità, Arti e Spettacolo dell’Università degli Studi di Genova. Dopo la laurea in Lettere moderne presso l’Università di Pavia, ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Storia e forme della rappresentazione e del consumo mediale presso l’Università Cattolica. I suoi studi si concentrano in particolar modo sulla storia del cinema italiano e statunitense e sulla teoria dell’immagine, con particolare riferimento alle pratiche contemporanee.

Luca Malavasi is Researcher (L-ART/06) at the Faculty of Humanities of the University of Genoa. After graduating in Modern Literature at the University of Pavia, he earned a PhD in History and Forms of Representation and Media Consumption at the Università Cattolica (Milan). His specific field of studies are the theory of the author and the theory of the image, and history and theory of contemporary cinema (American and Italian).

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