Alberto Abate – Elogio delle Arti

A cura di Arnaldo Romani Brizzi e Emma Abate

copertina del volume "Elogio delle Arti"

Alberto Abate

ELOGIO DELLE ARTI

A cura di Arnaldo Romani Brizzi e Emma Abate

Testi di: Alberto Abate, Emma Abate, Sara Bodini, Flavia Buzzetta, Saverio Campanini, Giuseppe D’Ottavi, Francesco Massa, Maurizio Mottolese, Arnaldo Romani Brizzi

Isbn 978 8898 623167

Formato 25×29 cm.

Euro 20,00

Novembre 2014

Realizzato in occasione della mostra di Alberto Abate, Elogio delle Arti

Biblioteca Angelica – Galleria (MiBACT)

00186 Roma – Via di Sant’Agostino, 11

Dall’introduzione al Catalogo di Arnaldo Romani Brizzi:

Il primo incontro diretto e personale che ebbi con Alberto Abate fu nel 1985, nella galleria Il Ponte, all’epoca di proprietà di Margherita Failoni e Dany Berger, diretta dalla prima con piglio volitivo e sorriso accattivante nella sede di via di Sant’Ignazio, nei pressi del Collegio Romano. Si stava per allestire la mostra Alberto Abate, Carlo Bertocci – Olii e disegni, per la cura critica di Italo Mussa: un duetto tra due dei protagonisti della Pittura Colta, nominazione formulata dallo stesso Mussa all’esordio degli anni Ottanta; linea artistica intorno alla quale girava al tempo un notevole grado di attenzione e curiosità. Entrando nella galleria in allestimento, vidi Alberto Abate che, in piedi e in maniche di camicia, ma con portamento eretto ed elegante, intelaiava le proprie tele, con il modesto aiuto di un ragazzo di galleria. Ci mettemmo a parlare e stringemmo subito un rapporto di simpatia che poi, negli anni a venire, si trasformò in quella «fiera» amicizia che ci legò sino alla sua scomparsa. Sin da subito, rispondendo alla mia domanda in merito a quella disponibilità «artigianale » nell’intelaiatura delle sue opere, Alberto mi parlò di come in Arte sia necessario l’Arto, la mano, quale strumento supremo per compiere la necessaria azione alchemica capace di rendere in oro il piombo. «Dall’Arto all’Arte», mi disse sorridendo, aggiungendo che, per far ciò, l’Arto doveva accettare di confrontarsi con tutte le azioni e necessità, anche le più umili e di servizio. Compresi d’acchito che in quel giovane uomo, nel suo pensiero, si agitava una gran bella ed encomiabile aspirazione alla saggezza. Lo avevo già incontrato più volte, ma senza mai parlargli: alla galleria La Salita, di Gian Tomaso Liverani; e anche a La Tartaruga di Plinio De Martiis, in occasione della celeberrima mostra dei Sei Pittori, nel 1980, con la quale si inaugurò la nominazione dell’Anacronismo, idea di Franco Piruca portata a perfezionamento da Maurizio Calvesi. E poi anche da Pio Monti, per la mostra di Mussa sulla Pittura Colta, nel 1982, e la sua mostra personale nell’aprile del 1983. Ripeto, non ci eravamo mai parlati; sino a quel giorno del 1985. Quella mostra Abate, Bertocci, come poi prendemmo sempre a chiamarla, rimase molto nel mio sentimento (spesso, sia con Alberto che con Carlo Bertocci, ci ridevamo sopra, scherzando su chi mai fosse quest’uomo di chiesa, questo Abate Bertocci e Abate di quale abbazia, poi?). Quando nel 1986 Mussa mi coinvolse nel progetto dello spazio espositivo di via degli Ausoni, nell’ex Pastificio Cerere, fu inevitabile esporre opere di Abate sia in mostre collettive sia nella stupefacente personale dell’ottobre 1988, intitolata La Casa del Minotauro (p. 61), in cui Alberto volle esporre un solo dipinto, ma che dipinto: un’opera di quattro metri di base, per quasi tre di altezza (opera gemella, quanto a dimensioni, del grande dipinto Elogio dell’Arte acquistato dalla Rosenwood Corporation e installata permanentemente a Dallas presso l’edificio The Crescent, progettato da Philip Johnson). La mostra lasciò molti senza fiato, per il coraggio di esporre un solo dipinto, e la complessità della composizione narrativa dello stesso, colma di tracce e suggestioni allegoriche, di simboli che però parlavano unicamente di una storia del tutto autonoma e solamente riconducibile a lui, ad Alberto Abate. Fu quello, tra noi, il primo di una importante serie di appuntamenti; e, di mostra personale in mostra personale, di dibattito in dibattito, di presentazione critica in presentazione critica, edificammo una reciproca conoscenza che scavava nel profondo, con un rispetto da antichi gentiluomini che non avevano bisogno, tra di loro, di firmare contratti, affidandosi sempre alla responsabilità superiore che rende una stretta di mano un atto imprescindibile per il proprio onore e per la credibilità della propria parola. [...]

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